1972, uno scandalo, ventinove donne e due uomini vengono assunti da Annalena e Maria Teresa per la costruzione del recinto di quello che diverrà il Centro di riabilitazione, la “fraternità della gioia” di Wajir, nel desertico nord-est del Kenya. Gli uomini vengono subito licenziati perché “volevano solo supervisionare” e non lavorare. Questo è un mondo in cui, come scrive Annalena, “le donne vengono considerate assolutamente incapaci di fare un lavoro all’altezza di come lo ha fatto un uomo”, per questo la donna viene pagata la metà di un uomo. “Sembrerà una favola”, raccontano in una lettera, “abbiamo dato a ognuna cinquanta piedi per tre scellini [la stessa paga di un uomo] e pazze di gioia sono tornate nelle capanne.”
La parola scandalo ha una etimologa chiara, significa “insidia”, un “turbamento della sensibilità morale”. E loro lo scandalo lo provocheranno per tutti gli anni in cui vivranno lì, dall’insegnare ai bambini ciechi, sordi, ritenuti inutili, fino al denunciare, a costo della vita, un genocidio che il governo del Kenya di allora tentava di insabbiare.
Volevano testimoniare con la vita l’annuncio evangelico, nascoste agli occhi del mondo che conta, ma il messaggio è troppo grande e straripa, cozzando contro alla realtà strutturata, agli stereotipi, a tradizioni ancestrali. Parla di giustizia, di fraternità, di amore gratuito, di accoglienza, di braccia allargate fino alla fine.
Così anche se il sogno è il nascondimento, la chiamata è pressante al punto che, Annalena scriverà: “…Oggi io mi vengo a trovare, donna, in una posizione di autorità in un mondo che disprezza la donna, quindi io mi trovo nella posizione di poter dare un insegnamento, una testimonianza immensa a tutta questa gente[…] l’insegnamento che una donna può fare tanto quanto un uomo e anche meglio di un uomo, che una donna ha cervello, che una donna ha cuore, che una donna ha anima, che una donna è un essere umano, è una creatura capace proprio alla pari di un uomo, sullo stesso piano di un uomo. Laggiù veramente la donna è niente e appunto la mia testimonianza può essere immensa, certo che viene ad essere una testimonianza così diversa da quella che avevo sognato perché qui si tratta veramente di mettere la lampada sopra il moggio, la lampada sulla cima della montagna perché possa illuminare tutt’intorno; mentre io invece speravo in una lampada nascosta[…]”
Questa Luce divampa e riesce a dissipare ettari di buio intorno a sé. Se agiamo con quella luce dobbiamo per forza vivere un cristianesimo, una umanità, non in pantofole, non da guardoni, ma dentro alla storia, la nostra.
Andrea S.