Commento al Vangelo del giorno Mt 8,5-13 – 5a domenica dopo Epifania (anno C) (09/02/2025)
Di Don Angelo Casati
Leggevo, respiravo, finestre aperte, niente più muri. E come abbiamo potuto costruirli dopo Gesù, il mio Signore, uno che scende dal monte e infrange leggi che creano distanze? Prima tocca un lebbroso, considerato impuro: lo tocca, quando gli bastava una parola, no, lo tocca. E subito dopo si ferma a parlare con un pagano, un centurione romano, un impuro per quelli del suo popolo, disposto ad andargli in casa. Respiravo. Musica di sottofondo i versetti del salmo 32: lungo i secoli cantato, ma poi nella vita ignorato. Sentiteli, riempiono l’anima, il cielo e la terra: “Il Signore guarda dal cielo: egli vede tutti gli uomini; dal trono dove siede scruta tutti gli abitanti della terra, lui, che di ognuno ha plasmato il cuore e ne comprende tutte le opere”.
“Di ognuno ha plasmato il cuore”, parole che suonano come controcanto a quelle di Gesù al centurione di Cafarnao: “Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli””. Due segni – lebbroso e servo malato del centurione – e cambia l’orizzonte. Cambia ancora oggi, per noi che spesso, troppo spesso, parliamo dei cosiddetti ‘lontani’ come fossero l’assenza della fede, non credenti. Pensate come sia sorprendente Gesù che parla di una presenza dentro un’assenza, presenza della fede in assenza di fede. E non sta nemmeno scritto che il centurione pagano si sia messo al suo seguito. No, fece ritorno verso casa sua.
E lui, Gesù, ad immaginarli da lontano. Lui che non si era limitato a parlare di un racimolo di fede in un pagano, ma di grande fede; aveva osato dire – caricando il tono -: “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!”. Ne viene che discepoli di Gesù si diventa se, come il Maestro, sappiamo avvistare segni di fede, fede grande, là dove altri ne denunciano, inesorabili, l’assenza. E’ un’arte: l’aveva Gesù, ne fa insegnamento ai discepoli. E’ scritto infatti che quelle parole Gesù le rivolse proprio ai discepoli, parole per noi, la lezione è per noi: “”In verità io vi dico…”. Sembra quasi dimenticare per un attimo il centurione, per dire una cosa che gli sta a cuore e non deve sfuggire: “In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!”. E mi nasce una domanda: “Da dove, da quale fessura e come Gesù ha avvistato la fede grande? Sta scritto: “Ascoltandolo, Gesù si meravigliò”. Ed è bellissimo: “Si meravigliò”, aveva il dono di meravigliarsi, ci sembra di vedere i suoi occhi che si riempiono di meraviglia alle parole del centurione.
Dalle parole del centurione emerge la figura di un funzionario che non ostenta minimamente potere, dichiara apertamente la sua fiducia nel Rabbi di Nazaret, sino a confessarsi indegno di riceverlo nella sua casa. E Gesù intravede fede nel rispetto sacro della soglia. Esattamente l’opposto di noi che, ostentando potere, annulliamo le soglie, pretendiamo di entrare in casa degli altri, di disporne a piacimento. “Ascoltandolo Gesù si meravigliò”: se tu non ascolti, che cosa puoi sapere dell’altro? Come puoi avvistare una fede al di là delle apparenze? Me lo vado chiedendo, in un mondo in cui più non ci si ascolta, ognuno impigliato al suo cellulare, in un mondo dove ci si sovrappone a chi ti parla, o lo silenzi alzando sguaiatamente il tono, si urla.
E mi ritorna la domanda in che cosa Gesù ha avvistato una fede grande? E mi si apre un altro spiraglio. Diede nome di fede all’affetto sorprendente di quel centurione per il suo servo, dopo tutto era uno schiavo. Come se nel centurione l’affetto prevalesse, quasi cancellasse la gerarchia dei ruoli. Si muove lui per il servo, quando, stando ai gradi, a muoversi dovevano essere gli altri. Nel passo, parallelo al nostro, l’evangelista Luca, annota: “il centurione l’aveva molto caro”. Pensate se questo ci accadesse quando, nei mille rivoli delle nostra vita quotidiana, venendo meno l’apporto di un collaboratore, il primo pensiero non fosse al disagio di doverlo sostituire, ma alla persona, al problema che gli è sopravvenuto, al suo disagio. La persona prima del ruolo, più che il ruolo: ti è cara. Gesù non parlerebbe forse di fede? Grande?
Mi ritorna spesso al cuore uno scambio emozionante di gesti tra persone di orizzonti apparentemente lontani. Ne scrive in una sua lettera Annalena Tonelli, una volontaria, di fede cristiana ma senza confini, uccisa in Somaliland nell’ottobre 2003. Racconta di una giovane musulmana poliomielitica in fin di vita: aveva due gambine flaccide, sottili come stecchini, un corpo emaciato da far paura… era piccola, un pugnettino di ossa, un viso bello, espressivo, consapevole, portava con dignità il velo nero delle donne sposate, ormai prossima a morire di tubercolosi. “Quando venne il momento del passaggio” scrive “mi chiese, non so come, di rimanere con lei quella notte: la cameretta asfittica e lurida, le lenzuola nere, lei che tossiva incessantemente… io desideravo solo rimanere con lei e rimasi… seduta sul suo letto sempre più sfinita… pregavo, la sostenevo, la guardavo negli occhi, l’amavo con tenerezza infinita… il caldo era sfibrante, lei respirava sempre più a fatica… ad un certo punto crollai e lei si tirò su, si tolse il cuscino lurido da sotto la testa affranta e me lo offerse… spirò verso le cinque del mattino… io le tenevo la mano, le sorridevo alla luce fioca di una lampada a petrolio”.
Se un gesto racconta vicinanza, se è un no all’estraneità e alla indifferenza, fosse anche solo un cuscino lurido, da chiunque venga, chiamalo fede. Fioca una lampada ad olio lo illumina.